Questo spazio è aperto per nuovi autori su qualunque tema riflessivo purchè sia abbastanza dissacrante e irriverente.
Basta che sia inviato a BEEKII@ME.COM con uno pseudonimo divertente e, se volete, con una mail personalizzata.

"L'emozione è forte,
il successo impossibile"

venerdì 28 settembre 2012



PIETA' (2012)


Il fatto che Kim Ki-Duk per sfregio abbia fatto il pugnetto comunista e che abbia dichiarato di voler mollare il cinema per andare in fabbrica me ne frega molto poco.
Kim Ki-Duk non è diventato un riferimento mondiale per le sue riflessioni ma per l’estetismo e la crudeltà delle sue IMMAGINI OTTICHE prima di tutto, e poi per la lirica silenziosa dell’esperienza estetica del vuoto degli spazi  dove “il cielo è cielo, la terra è terra, le montagne sono montagne” (pensiero zen), del tempo e degli individui e poi per l’incomunicabilità dell’amore.
Quando poi lo stesso Ki-Duk dice di aver girato Pietà “per fare riflettere con l'obiettivo di descrivere, a mente fredda, la fine della società capitalistica e fornire una possibile cura” mi sono cascate le braccia.




Io l’ho trovato deludente, viste le premesse del regista direi anche folcloristico, detto benevolmente di un altro registro rispetto al passato.
La scena della bindella è molto carina, così come i dialoghi con i debitori sia prima che dopo la “cura” e le riprese ravvicinate sugli ingranaggi di lavoro.
Il pretesto è ridicolo.
Kang-do è un esattore del pizzo che gambizza i suoi clienti per avere la pensione d’invalidità. A metà strada tra lo scemo grave e il sociopatico che si masturba prima di fare mattanza e dopo pianta il suo coltello nel bersaglio delle freccette, riprende tanto il meticcio nero dell’Indirizzo Sconosciuto.
D’improvviso, per l’incontro della madre vendicatrice, gli crescono inumani sensi di colpa e siccome nessuno gli perdona i peccati sviluppa l’insano impulso di farsi trascinare per Seoul lasciando le tracce del suo passaggio.

Poi, siccome il predicozzo pietoso non bastava, dopo il sangue della colpa non è potuto mancare anche un bel kyrie cantato.
Senza la madre e la Madonna sarebbe stato meglio ma non saremmo stati "curati".

Siccome voglio finire bene chiudo così



BEEKII

mercoledì 12 settembre 2012

LA BELLA ADDORMENTATA (2012)

E’ inutile che M. Bellocchio si imbestialisca per il trattamento del suo film a Venezia perché La bella addormentata è un film sbagliato. L’ho visto fino alla fine solo per Lei, Isabelle H.
La storia di Englaro Peppino –Eluana era solo una povera comprimaria purtroppo– Bellocchio doveva lasciarla in TV. Va bene era l’effetto voluto dal regista, ma le riprese alla Quiete sono terribilmente squallide: parlo di fotografia, non di contenuti.
I primi minuti sono memorabili, grandissima la fotografia. Autunno lombardo.
Si avviano le due storie più importanti, quella della famiglia di un senatore, alias Toni Servillo, e della figlia, Alba Rohrwacher, e quella della devota Isabelle H. che ha lasciato il teatro per accudire la figlia in coma con tanto di suore e giovane sacerdote a cui confessa la sua ossessione, quella di recitare una parte: l’urlo all’inizio del film, gli incroci ripetuti allo specchio e il monologo nel sonno che rievoca quello della famosa Lady sono da brividi e meritano il biglietto.
La variazione romana è pregevole ma ideologicamente inutile perchè Il Berlusconi in TV che parla del ciclo mestruale di Eluana diceva già tutto. Lo psichiatra socratico che prescrive Serenelle ai colleghi è quantomeno simpatico, grottesca la scena nella sauna parlamentare con le teste dei ranocchi che guardano la TV. Il monologo di Titta non ha fatto perdere punti ma è troppo carico e un po’ scolastico.

La Rohrwacher non tradisce il regista e neanche sé stessa, nevrotica quanto basta, terribilmente impacciata a fare l’amore, nudo stupendo, abiti sobriamente lussuosi.
Poco credibile nella parte della devota. Bellocchio poteva sicuramente dargli un partner più decente.
Toni Servillo (Il divo, La ragazza del lago, Gomorra, Una vita tranquilla) è tanto bravo quanto noioso, soprattutto quando apre bocca perché non esce mai dalla sua parte. Dovunque lo si veda, Servillo Toni recita sempre sé stesso. Peggio, recita la parte del napoletano manierato che lo paga meglio. Miglior rappresentazione, da cui sono venute tutte le altre, Le conseguenze dell’amore (2004): uno dei più bei film della mia videoteca. Quando è muto potrebbe essere una attore di Ki-Duk europeo.
Gianmarco Tognazzi, aldilà del suo disvalore assoluto (per chi scrive ovviamente), regge con la storia: marito sfigato e attore fallito. E’ tormentato, si sa, dopo il padre gli è toccato pure il fratello. Lasciamo stare. Comunque Bellocchio è un sadico-incorrect.
Pier Giorgio Bellocchio e la tossica Maya Sansa fanno un discorso a parte. La loro storia, prolungata oltre l’eccesso, massacra definitivamente il film. Brutto e senz’anima.



Caro Marco Bellocchio.
Tu che sei il più francese dei registi italiani, come fai a scritturare la Huppert e la Rohrwacher e a non usarle fino all’ultimo respiro?
Recupera il girato di Isabelle e monta anche l’omicidio della Bella addormentata nel bosco perchè l’hai provata lo so. Recupera gli sguardi silenziosi di Titta e Alba.
Taglia la storia brutta e inverosimile del medico che si innamora di una falsa tossica, così bella e procace che sarebbe stata meglio ai piedi di una croce. Taglia la trasferta in treno di Titta, il fratello psicopatico, il loro l’incontro con i genitori, la hall dell’albergo, il monologo di Titta e via dell’Umiltà.
Con affetto.


BEEKII

sabato 14 luglio 2012

EKPOMBI/LA TRASMISSIONE (1968)


EKPOMBI/LA TRASMISSIONE (1968)

Lo stilema di Angelopoulos è chiaro fin dall'inizio della sua produzione, un cortometraggio di 23 minuti. Per le strade dello shopping di Atene dei giornalisti della radio cercano di ricostruire la fisionomia dell'uomo ideale con un identikit. Individuano un uomo della piccola borghesia di un mondo perduto - l'uomo oggetto di Antonioni-  che non fanno nemmeno parlare. Inizia così:
 “Prima dicevano:
compra la crema x per avere una pelle giovane e delicata
Ora dicono: compra la crema x per essere felici.”


È già presente il distacco dagli eventi rappresentati, la narrazione ellittica, l'alienazione capitalistica, il deserto culturale di Atene e del mondo riempito da individui slegati, disintegrati, vuoti e "animati dagli oggetti/gadgets" (Lacan, Roma 1974) contro la favola dello spirito del capitalismo (Max Weber).
Una società, quella di Atene come quella di Teheran negli stessi anni, che pascola beatamente sotto il terrore del Regime.




“Strana gente che crede di trovarsi nell’Attica e non è
in nessun posto:
acquistano confetti per le nozze,
hanno “lozioni per capelli”, si fanno fotografare…
Intanto la Grecia viaggia, viaggia sempre.”                                           SEFERIS


BEEKII

mercoledì 13 giugno 2012


Anaparnastasi/Ricostruzione (1970)


La tragedia della periferia europea vista oggi è la stessa di quella rivista ieri e l'altro ieri.
Laa Germania che vuole regnare ad imperium con una guerra atomica senza armi (il fiscal compact) che "preferirà distruggere l'Europa per la terza volta in 100 anni", fa risuonare a gran voce il verso di Bertold Brecht:
Nessuno o tutti – o tutto o niente
Non si può salvarsi da sé
O i fucili - o le catene
Nessuno o tutti – o tutto o niente

E mi fa pensare a Theo Angelopoulos, che ha fatto film per dare una risposta, politica, a tutte le forme di Potere egemonico partendo dalle "ossa degli Elleni" (Solomos).
Nato sotto la tirannia di un Mussolini balcanico (Metaxas), poeta mancato, ateniese e figlio di un mercante al dettaglio, Theo Angelopoulos ha voluto fare cinema dopo aver studiato l’antropologia di e con Levy-Strauss ed aver assaporato la controcultura della Nouvelle Vogue.
Il limite, si fa per dire, è che Angelopoulos non si è messo a fare cinema per tutti perchè parlerà di un’altra Grecia, “quella interiore” come diceva lui stesso; e si nota già dalle inquadrature iniziali del suo primo lungometraggio.




E’ inverno e piove.
“La giornata ideale per l’inizio di una storia”, diceva.
Un pulmino della guerra arranca su una strada sterrata e una voce off ci fa capire che il racconto di Agelopoulos parte da molto lontano (le rovine pelagiche).
Quel luogo semi-disabitato di case in pietra, Tymphaia, non è la barbagia delle femmine con la coda di Padre padrone (1977) dei fratelli Taviani, ma l’Epiro dell’oracolo di Dodona, una terra di confine segnata dalla storia ma  anche la terra di Alessandro Magno e di Pirro, della guerra d’indipendenza contro la dominazione ottomana, come non citare il Leone di Ioannina (1819), e dei partigiani delle montagne della guerra civile (1944-1949).




 
L’ atmosfera elegiaca dell’Epiro è la stessa di quella descritta da Giorgios Seferis molti anni prima, poeta neo-greco finito nelle patrie galere, dopo il gran rifiuto, sotto la Giunta:
Ho trattenuto la mia vita
peregrinando in mezzo ad alberi gialli
nell’inclinarsi della pioggia
in silenziosi pendii carichi di foglie di faggio
nessun fuoco
sulla loro vetta: si fa sera                                                  EPIFANIA 37


Il film è a basso costo e gli attori del primo lungometraggio sono “presi dalla vita” e dagli abitanti del paese (donne, vecchi e bambini).
La storia è un pretesto per parlare d’altro perché i fatti sono noti da subito: una donna insieme all’amante ha ucciso il marito emigrato in Germania per lavoro.
Non è un film noir (ci scusino J. Beker e H.G. Clouzot) perché il film non rispetta la sequenza temporale dei film polar (delitto → ricostruzione → arresto dell’assassino), anzi, qui la sequenza è rovesciata e spezzettata.
Non è un semplice documentario sullo spopolamento delle montagne, ma un atto di accusa per chi ha svenduto la Grecia nelle sue origini, quindi un film sul “disfacimento greco” come dice Angelopoulos, prima di tutto culturale e poi politico.
La vicenda, benché sia la stessa di Ossessione (1943), di per sé è priva di suspense edificante e la “prima lettura” del ritorno alla realtà contro la produzione cinematografica commerciale (una volta erano quelli dei telefoni bianchi) è stato forse solo l’escamotage per superare la censura della Giunta (folclore, tradizioni e antichi valori cristiani).
L’anno è il 1970, il colonnello Papadopoulos ha poteri dittatoriali dal 1967, il re Costantino è scappato e Angelopoulos vuole risvegliare il suo popolo partendo dalle origini, dal mito, che secondo Levy-Strauss rappresenta la forma in cui la società “interiorizza il divenire storico (la memoria) per farne il motore della sua evoluzione”. La Ricostruzione per l’appunto, ovvero “l’unione organica tra la tragedia e la comunità da cui era emersa e per cui era rappresentata”, l’Orestea di Eschilo, che parte da un delitto di sangue e arriva all’assemblea delle Eumenidi, il primo tribunale giudiziario democratico all’Acropoli di Atene.
“Cittadini di Atene, ascoltate ciò che ho deciso,
voi che per primi al mondo giudicate un delitto.
D’ora in poi, per sempre, questo popolo
Avrà diritto a questa sua assemblea.
…Né l’anarchia né la dittatura
Vi siano mai di fronte, cittadini.
…Questa assemblea che oggi istituisco
Resterà incorrotta, venerata, pura
A vegliare sopra la luce del paese.”                                ATENA dalle EUMENIDI


Il preambolo, con il piano-sequenza degli interni, è già teatro. Qualche primo piano e un magnifico piano-sequenza a mano libera e nessun campo/controcampo, motivo per cui Angelopoulos si era licenziato dalla scuola di cinematografia e aveva preferito gli insegnamenti di Henri Langlois della Cinemathéque Francaise.
E’ anche un fatto autobiografico, ripreso poi anche in Taxidi sta Kythira/Viaggio a Citera (1984): il padre era stato arrestato durante la guerra civile (1944) -Theo aveva 9 anni- ed era stato dato per morto per poi rientrare a casa molto tempo dopo.

Kostas/Agamennone torna al paese dopo molti anni, incontra un figlio che non lo riconosce e si mette a tavola con Eleni/Clitemnestra e gli altri figli.
“Il tuo ritorno al focolare è per noi,
in pieno inverno, un ritorno al tepore.”                           CLITEMNESTRA da AGAMENNONE


Incrocio di sguardi, scena muta, fermo immagine e titoli di testa.


“Perché questo terrore
che si erige davanti
al mio cuore rapito
e intorno gli vola cieco?”
Perché senza invito,
senza che nessuno lo paghi
il mio canto è profetico?
Perché mi è impossibile
Liberarmi, come da visioni magiche,
e sentire la sicurezza vitale
al centro del mio cuore” 
CORO da AGAMENNONE


La Ricostruzione della Polizia con un commissario indagatore dell’anima, quella sociologica dei giornalisti, così come quella della scena madre, sono proposte e riproposte insieme a flashback decontestualizzati.
La cronologia del film non è sequenziale e il “démontage” riporta facilmente alla decostruzione derridiana, alla “seconda lettura” secondo Althusser, alla “estensione del senso mediante la ricreazione di altro”, allo straniamento brechtiano attraverso “il rovesciare e lo spostare un ordine concettuale col quale esso si articola”, e al piano-sequenza che, solo con Angelopoulos, fa ricordare tanto la profondità di campo del teatro, la terza dimensione. Ma questo è solo uno dei tanti leitmotiv del cinema di Angelopoulos.



Tante le scene epiche del film che non si possono dimenticare:

Quella di Eleni/Clitemnestra quando propone all’amante, Hristos/Egisto di fare a pezzi il corpo di Kostas/Agamennone dopo averlo soffocato con un cappio e infine lo seppellisce fuori casa occultando il sito con dei bulbi di cipolla e facendo risaltare il sangue nero della terra.






“Quando su chi si odia, fingendo di amarlo,
ci si prepara a dar sfogo all’odio,
non si alzano nuovi ostacoli,
a rendere più difficile il successo” 
CLITEMNESTRA da Agamennone


Quella degli amanti che si costruiscono l’alibi attraversando il lago Pamvòtida per raggiungere Ioannina con una barca a remi.

La richiesta di aiuto Eleni/Clitemnestra al fratello, “aiutami, sono perduta” e l’aggressione animalesca contro il commissario che fa risuonare le grida di Clitemnestra contro il desiderio di vendetta del figlio Oreste.
“Fermati, figlio, abbi pietà, bambino,
di questo seno, a cui tante volte, aggrappato,
nel sonno, hai succhiato il latte della vita.
…Ma tu vuoi davvero uccidere tua madre, figlio?
Attento! Abbi paura dei miei urli di cagna!”         CLITEMNESTRA da Le coefore


Quella del bimbo con il braccino esteso -già condannato all’orfanotrofio come Oreste- quando indica ai fotoreporter il buco della legnaia dove la madre aveva nascosto il padre.
“Padre, pietà di me, e di tuo figlio Oreste!
Fa’ che torniamo padroni della nostra casa!
Ora non siamo che due diseredati senza speranza”  ELETTRA da Le coefore





L’aggressione di Eleni da parte delle donne del villaggio, “identificate totalmente nella loro parte” come dice Angelopoulos, che assalgono la camionetta della polizia e che ricorda tanto la personalizzazione delle Erinni.






E infine la Ricostruzione secondo Angelopoulos, che ha anche un piccolo cammeo nel film nel ruolo di un giornalista.
“Questo film, per me, è un’elegia per un territorio in decadimento, abbandonata dai suoi abitanti, della cui sorte è minacciato l’intero paese. Tutto partì nel 1962 quando la Germania dell’Ovest permise ai greci di vivere e lavorare in Germania. I colonnelli preferirono, in quei giorni, sapere i loro oppositori fuori dal Paese. Tutti i miei amici, per esempio, vivevano all’estero a meno che non fossero già in prigione. E’ per loro che ho fatto Ricostruzione, per tutti quelli avevano già lasciato il paese e per quelli che erano in procinto di farlo”.

domenica 20 maggio 2012



TAG E ART PAINTING A MILANO


Anche nella ricca Milano l’anomia e la sottocultura sono presenti e creano attriti e fenomeni di razzismo, come d’altronde sono certi spazi pubblici dove l’anomia è stata predisposta da chi li ha pensati (i non luoghi).
Le TAG -come la firma personalizzata di questo piccolo spazio- e l’art-painting nelle metropoli come Milano le trovo a volte esteticamente belle, sia nei quartieri esclusivi (se non altro) che in quelli sub-urbani (è un brutto termine ma ormai è cosa reale, cosa quindi su cui confrontarsi): la zona intermedia è sparita da decenni e i mitici “artigiani” sono rimasti solo sulla bocca di “Robertino”-“Celeste” Formigoni.
Se lette in una certa maniera, sono un punto di partenza positivo per chi vuole uscire dalla sua condizione anonima; le firme che viaggiano (treni, tram, ecc.), per chi non può viaggiare, sono ancora più significanti. Lette in altro modo sono firme di protesta selvaggia o di degrado.


 









Proposta seria:
Perché non dare spazio pubblico ai writers ignoti p.e. su deturpanti spazi pubblicitari, fermi o in movimento, o su lastre di vetro preposte a quest?uso come arredo urbano in luoghi pubblici centrali?


 
PS
Ieri sono stato alla torre Galfa e mi è piaciuto quello che ho visto, esteticamente si intende. Ora mi chiedo: ma perché non li rimettono negli armadi certi vecchi logori personaggi e non invitano p.e. Gad Lerner (così la pianta con i ?musicisti della Scala di Milano?), Dario Fo, Adriano Sofri o altri personaggi della controcultura che hanno qualcosa da trasmettere?

BEEKII

  ISABELLE H.

Lo charme di Isabelle Huppert è inesauribile come un "vaso senza fondo che quanto più si pasce più è bramosa", come recita un'anonima canzone medievale.
Solo due donne le sono pari e si chiamano Liv Ulmann e Fanny Ardant. Laura Morante e Giovanna Mezzogiorno, forse il meglio di questi anni in Italia, dovrebbero andare 10 anni in manicomio per poterla solo toccare.
Le sue interpretazioni più belle da vedere per i miei occhi sono quelle drammatiche dove interpreta, una de-personalizzazione da manuale, le facce dell'isteria (lotta di classe e anoressia-bulimia) e della psicosi, che clinicamente a volte si confondono.
Letteralmente battezzata nella cultura da un'agiata famiglia parigina (ovvio che non sempre i soldi fanno plusvalore), frequenta il Conservatorio, l'Accademia d'arte drammatica e si laurea in Lingue (russo).
Dice con nonchalance "di non basarsi su una caratterizzazione particolare" perchè "se si comincia a pensare se nel personaggio c'è qualcosa di sé o non c'è si va veramente in psicoterapia" e che per lei "il teatro è come ritornare a scuola".

Invecchiando Isabelle H. è ancora più bella.
Appare nella sua vera natura, un fascio di nervi. Ma che nervi ragazzi!

DUE FILM SOPRA TUTTI E NON PER TUTTI:


LA PIANISTE (2001) di Michael Haneke
Se dovessi concentrare le mie cose in uno zaino, troverei certamente lo spazio per questo film. Isabelle H. accetta di entrare in una storia di seduzione perversa con un'autenticità incredibile dove la vittima è un ragazzo della ricca borghesia che va fuori di testa per lei, accetta le sue pretese umilianti -la scena nel bagno del Conservatorio è da scandalo ("essere scandalizzati è un piacere", come diceva Pasolini a proposito di Salò e le 120 giornate di Sodoma)- e infine la violenta.
Momenti di godimento assoluto, da gustare, si vede la stessa mortificazione di Chabrol, ma qui Isabelle H. viene completamente "stirata" ad arco di cerchio e tutti i suoi movimenti sono veri e propri passi di danza. Haneke, visto il resto della sua produzione, è come dire solo il regista, registra la luce della Huppert e dei suoi comprimari e sta a guardare estasiata pure lui.
Il finale tradisce le aspettative senza essere deludente. Il romanzo della Jelinek è da leggere.
 
 LA DENTELLIÈRE, LA MERLETTAIA (1976) di Claude Goretta
Una relazione impossibile tra la giovanissima Isabelle H./Beatrice, affetta da una specie di depressione anaclitica dovuta alla deprivazione affettiva della terribile madre, e Yves Beneyton/Francois, uno studente di buona famiglia che interpreta perfettamente le sue tradizioni borghesi intellettuali a partire dalla sua fisiognomica.
Uno dei pochi film dimenticati -credo che non sia mai uscito in Italia- che non avrebbe mai dovuto essere dimenticato. Un assoluto capolavoro. La storia d'amore inizia sottovoce e finisce perché non hanno più niente da dirsi. Punto. Qui Marx e l'incompatibilità di classe non c'entra un bel niente.
Pomme, la mangiatrice di mele, è totalmente priva di personalità, nella sua vita viene amata da chi non la sa amare e si trasferisce dalla madre a Francois e da Francois al manicomio come attraverso dei passaggi proprietà scanditi da scene di nudo strazianti: quando fa l'amore per la prima volta senza essersi mai baciata e di fatto senza fidanzamento/innamoramento e quando si propone nuda per l'ultima volta a Francois e viene rifiutata. Beatrice, dopo l'abbandono di Francois, finisce in manicomio dove la depressione anaclitica è involuta in malattia di Cotard. La scarsa fisicità e l'anaffettività vissute prima si trasformano in un vero e proprio delirio nichilistico e così, con la completa immutabilità dei gesti, il film termina su un primo piano da psicosi che fa rivivere la Dentellièr di Vermeer. Il titolo, obiettivamente, è un pò infelice, ma ha il suo motivo.
A 23 anni Isabelle H. "vive una storia", come dice lei, o interpreta una parte da fuori di testa. Minuta, sempre ben composta, in 110 minuti dà segni di vita per pochi minuti.



E POI, MONSIEUR CHABROL, che con il suo sarcasmo dissacra, spesso su fatti veri, le vicende della borghesia di provincia.

LA CÉRÉMONIE/IL BUIO NELLA MENTE (1995)
Una follia a due in crescendo in cui la domestica (non poteva che essere la Bonnaire) viene investita dalla distruttiva invidia di classe di Isabelle H./Jeanne. La prima aveva ucciso il padre incendiando casa e la seconda la bambina perché le dava a noia. Che unione perfetta!
La "serata d'addio" la si intuisce dal principio e il film è un lento, inesorabile crescendo. Come piaceva a Chabrol.
La strage degli innocenti sopra la musica di Wolfango Amedeo (avrà citato Kubrick) è cruda e inesorabile. Da vedere e rivedere.






 UNE AFFAIRE DE FEMMES (1988)
Il primo è un po' più dirompente.
Racconta la storia di una donna che per soffocare la fame sociale durante la guerra pratica aborti e viene condannata a morte. Soprattutto qualche momento topico. Quando Isabelle H./Marie Latour poco prima della decapitazione invidia lo sperpero del cielo azzurro dietro le sbarre e maledice l'origine del mondo urlando la sua rabbia nel blasfemo "je vous salue, Marie, pleine de merde". Solo Bellocchio poteva ripetersi. Da rivedere.







 MERCI POUR LE CHOCOLAT (1990)
 E' ancora più complicato. Un delitto nel delitto. Simenon si sente un ' troppo.  Qui Isabelle H./Mika nasce borghese, anche se adottiva, ma la si riconosce da principio lo stesso. Con il suo ascoltare di spalle le voci degli altri, quando incomincia a grattarsi per l'irritazione, a farsi i broccoli con le dita e a stirarsi la pelle della faccia. Non è mai contenta, povera. Uccide la moglie dell'uomo che non ama e cerca di uccidergli la figlia solo per gelosia. E alla fine parla e si denuncia/denuda sul lettino dell'analista e di "essere brava a fare del male", che "il male dentro di se lo trasforma in bene" e che "invece di amare dico ti amo e mi si crede". Da vedere almeno una volta per queste scene.






MADAME BOVARY (1991)

Stessa identica sequenza d'inizio di Une affaire de femmes, con gli stessi animali (le oche), con la stessa rabbia sociale (cosa avrebbe potuto fare Marx senza l'isteria!), con la stessa discutevole voluttà insaziabile. IMPOSSIBILE da rifare senza Isabelle H. perché in questo film c'è solo lei.
La storia è nota. Fondamentalmente insegna che con un'isterica gli uomini devono essere stronzi: il nobile amante, Rodolphe, prima la corteggia facendosi sospirare e dopo la pianta con una mail insieme a un cesto di albicocche).
In langue tiene meglio, ma trovo che questo film sia troppo rarefatto, quasi da teatro, non mi ha fatto immedesimare né tantomeno pensare.
 Si può anche non vedere.



Fin qui e non oltre
BEEKII

domenica 13 maggio 2012


 

nature, n. 481 25 gennaio
"oil's tipping point has passed"
In rete si trova anche la traduzione italiana
Vedere su le scienze.it

science & vie
“alerte, à la pénurie”
Les 26 minerais qui vont nous manquer




 QUESTA è la scomoda verità, NON quella di Al Gore. 
James Murray e David King hanno dimostrato, sulla base dei report del dipartimento dell'energia americano, che la produzione di energia fossile ha raggiunto il picco delle riserve note e ignore già nel 2005; che la storia del gas da scisti bituminose canadesi o americane sono una grande bufala, cosi come quella del carbone che dovrebbe toccare il suo acme già nel 2025.
Adesso vi chiedo di immaginare il futuro proposto da Roddenberry (Star Trek) o quello di Blade Runner. Fa male, vero? Come sarà il nostro futuro tra 25 anni?
Pensiamo ancora che inveteranno le macchine volanti, che scopriremo nuovi mondi o estrarremo il mitico Elio-3 dalla luna?
BEEKII


Se ci fossero problemi a reperirle in rete
























AN INCONVENIENT TRUTH (2006).
La nostra coscienza totipotente si è fermata quando abbiamo visto questo imprescindibile film-documentario.
Il Futuro di Boccioni o di Asimov si è afflosciato ed è diventato quanto meno anamorfico o scomodo da pensare.
Siamo diventati esperti di gas serra e di global warning.
Abbiamo incominciato ad odiare le macchine ferme a motore acceso, la luminaria delle città, i voli a basso costo e il turismo intercontinentale, insomma tutto ciò che ci faceva sentire totipotenti e superiori rispetto al mondo non capitalistico.
Ma è veramente questa la scomoda verità?   BEEKII

sabato 12 maggio 2012


SOYLENT GREEN: I SOPRAVVISSUTI (1972.)
Il cinema di fantascienza degli anni '70 è stupendo perchè ci si identificava. E non ha mai fatto pensare  molto perchè era concettualmente molto semplice: i buoni  si associavano   e  vincevano, sempre e il film finiva con la speranza e la certezza: il mare, la Casa Bianca, la statua della Libertà, panoramica aerea.
2022: I sopravvissuti (1973), oltre a essere un film stupendo e che consiglio, è la solita eccezione perchè finisce male.
Eccezione fino a un certo punto, però, perchè in quel periodo non era stato un senso di colpa a fermare il vapore del plusvalore, ma la più importante crisi petrolifica e i primi studi, confermati nel 2004, sui limiti naturali dello sviluppo che prevedevano un collasso economico nel XXI secolo.

Odissea 2001 NON E' un film di fantascienza. BEEKII

mercoledì 9 maggio 2012

Il Blade Runner del 2009.
Corman Mc Carthy lo immagina così: non un futuro tecnologicamente avanzato con pochi umani che pensano per tutti, ma un futuro di uomini che smarriscono la coscienza dell'io e dove lo stesso soggetto è forcluso. Un mondo dove non ci sono più regole sociali o accolite caritatevoli (ossimoro involontario) a cui rivolgersi in caso di bisogno.
I dialoghi sono quelli del libro che consiglio, il film tiene dall'inizio alla fine ed è sempre intenso, il dramma padre-figlio non è per cattolici e il film non è per la parrocchia, il protagonista del film E' il padre.
Viggo Mortensen (A history of violence e La promessa dell'assassino) è strafico e per me è entrato tra i più grandi dopo Harvey Keitel, Ernest Borgnine, Gian Maria Volontè e Clint Eastwood.   BEEKII